La protesta e i confini,articolo di Ermanno Paccagnini dal Corriere della sera
Scuole, occupazioni e punizioni
LA PROTESTA E I CONFINI
Se c'è un fatto oggi tragicamente indiscutibile è lo iato incolmabile creatosi tra parola e suo significato etimologico. Come quell'"occupare": il cui "prender possesso di una cosa" comporterebbe anche il significato di custodirla al meglio. O "protestare": di quanto porta in sè di testimonianza a favore di un fatto o di un'idea. Perdite di significato con cui ci si scontra quotidianamente, come ricordano i blocchi dei giornali scorsi o quanto sta accadendo al Parini. Perchè il problema è sempre lo stesso: dove finisce la legittima protesta e inizia il danno procurato? Non intendo parlare di violenza, teppismo o simili aspetti, pur sempre in agguato e per i quali dovrebbe valere almeno moralmente la cosiddetta "mancata vigilanza" (l'hanno ben compreso i manifestanti antiTav, ferrei nell'isolare facinorosi e infiltrati).
Il problema è, più banalmente, di capire fin dove si può spingere la protesta per farsi sentire. Dove finisce insomma l'occupazione pacifica e subentra e subentra quanto è stato registrato come "barricate" e "scontri" tra chi vuol seguire o impedire le lezioni? Ma pur dando per buono il diritto d'intralciare la libertà altrui in nome dell'assuefazione e rassegnazione a essere vittimizzati (specie nei trasporti pubblici soprattutto "selvaggi": e in tal caso piaccia o no si tratta di violenza alla persona) resta il fatto che non esiste diritto alcuno a sfasciare e procurar danni anche materiali, come pare si sia registrato al Parini (sia pur dando atto che la cifra stimata sia eccessiva, in considerazione del fatto che ogni struttura pubblica ha sempre qualcosa di già rotto).
Non solo: resta poi anche, in questo caso, il problema a monte: il "contro che cosa" a volte si protesta. Perchè se quel qualcosa sono provvedimenti contro "bigiate", uscite posticipate, comportamenti di "ordinaria furberia", resta il fatto che, sinchè delle regole esistono, quelle regole vanno rispettate. Lottare per cambiarle è un conto, protestare per un provvedimento nei confronti di chi le ha infrante è un'altra cosa (e mi riferisco qui alla scuola in genere, non solo al Parini). Come non concordare allora con chi ricorda che "la scuola non può essere zona franca rispetto a qualunque tipo di infrazione"? E non solo perchè non debbono esistere simili zone franche. Ma ancor più perchè, se il concetto di "zona franca" (magari avvallato da solidarietà ideologiche "alla cieca") prende piede proprio lì dove invece si dovrebbe apprendere e alimentare la cultura del rispetto di sè e dell'altro, non si potrà che finire tutti quanti in un suicida futuro da Moloch.
di Ermanno Paccagnini (tratto dal Corriere della sera)
LA PROTESTA E I CONFINI
Se c'è un fatto oggi tragicamente indiscutibile è lo iato incolmabile creatosi tra parola e suo significato etimologico. Come quell'"occupare": il cui "prender possesso di una cosa" comporterebbe anche il significato di custodirla al meglio. O "protestare": di quanto porta in sè di testimonianza a favore di un fatto o di un'idea. Perdite di significato con cui ci si scontra quotidianamente, come ricordano i blocchi dei giornali scorsi o quanto sta accadendo al Parini. Perchè il problema è sempre lo stesso: dove finisce la legittima protesta e inizia il danno procurato? Non intendo parlare di violenza, teppismo o simili aspetti, pur sempre in agguato e per i quali dovrebbe valere almeno moralmente la cosiddetta "mancata vigilanza" (l'hanno ben compreso i manifestanti antiTav, ferrei nell'isolare facinorosi e infiltrati).
Il problema è, più banalmente, di capire fin dove si può spingere la protesta per farsi sentire. Dove finisce insomma l'occupazione pacifica e subentra e subentra quanto è stato registrato come "barricate" e "scontri" tra chi vuol seguire o impedire le lezioni? Ma pur dando per buono il diritto d'intralciare la libertà altrui in nome dell'assuefazione e rassegnazione a essere vittimizzati (specie nei trasporti pubblici soprattutto "selvaggi": e in tal caso piaccia o no si tratta di violenza alla persona) resta il fatto che non esiste diritto alcuno a sfasciare e procurar danni anche materiali, come pare si sia registrato al Parini (sia pur dando atto che la cifra stimata sia eccessiva, in considerazione del fatto che ogni struttura pubblica ha sempre qualcosa di già rotto).
Non solo: resta poi anche, in questo caso, il problema a monte: il "contro che cosa" a volte si protesta. Perchè se quel qualcosa sono provvedimenti contro "bigiate", uscite posticipate, comportamenti di "ordinaria furberia", resta il fatto che, sinchè delle regole esistono, quelle regole vanno rispettate. Lottare per cambiarle è un conto, protestare per un provvedimento nei confronti di chi le ha infrante è un'altra cosa (e mi riferisco qui alla scuola in genere, non solo al Parini). Come non concordare allora con chi ricorda che "la scuola non può essere zona franca rispetto a qualunque tipo di infrazione"? E non solo perchè non debbono esistere simili zone franche. Ma ancor più perchè, se il concetto di "zona franca" (magari avvallato da solidarietà ideologiche "alla cieca") prende piede proprio lì dove invece si dovrebbe apprendere e alimentare la cultura del rispetto di sè e dell'altro, non si potrà che finire tutti quanti in un suicida futuro da Moloch.
di Ermanno Paccagnini (tratto dal Corriere della sera)
2 Commenti:
e la via di mezzo non si trova...
questo blog non consente anonimi...
questo blog ha attivo la moderazione...
questo blog... ecc. ecc.
ma dove siamo finiti? un po' di liberta!!!
per non parlare del controllo parola (ma per cosa? anti splog o che altro? bah!?!)
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